Nel panorama della narrativa contemporanea,
La disciplina dei colori di Francesco Scrima, edito nel 2025 da Mohicani Edizioni, si impone come un’opera letteraria atipica e necessaria, per la sua capacità di coniugare rigore e lirismo, razionalità strutturale e percezione sinestetica, parola e silenzio. Sospeso tra fiaba urbana, racconto psicologico e allegoria esistenziale, questo romanzo rifugge ogni tentazione di classificazione per aprirsi invece a una lettura stratificata, densa, capace di risvegliare nei lettori quell’attenzione all’invisibile che solo la grande letteratura riesce a destare. Il titolo, che rimanda in superficie alla tavolozza di un pittore o a un codice cromatico, svela sin da subito una cifra più profonda: quella della “disciplina” come tentativo umano, troppo umano, di regolare le forze emotive, di addomesticare il caos interiore attraverso un ordine non coercitivo, ma trasfigurante. La disciplina, qui, non reprime: accoglie. Non

cancella: trasforma. È la disciplina dell’anima, che non teme la complessità, ma la abita. Al centro di questa narrazione si stagliano due figure archetipiche: Ugone e Maddalena, incarnazioni complementari di due opposte tensioni dello spirito. Ugone, nome dalla sonorità arcaica, medievale, è l’uomo del rigore che si sgretola. Figura disturbante e commovente insieme, si muove tra l’ospedale psichiatrico e un appartamento popolato da ossessioni e riti, come un bambino cresciuto a metà, o forse un adulto che ha custodito l’infanzia come un talismano ferito. Osserva, fiuta, percepisce il mondo con una sensibilità che travalica i cinque sensi: il suo linguaggio è olfattivo, tattile, animale, medianico. Ugone è custode del bianco e nero, ma sogna il rosso: cerca di governare i colori come se potesse contenerli, ma è proprio nel momento in cui li lascia esplodere che si compie il suo riscatto poetico. Non è affetto da un semplice ritardo mentale, come suggerirebbero i registri clinici: è abitato da un altro codice, da una percezione più profonda, più assoluta, più vera. Vive in una dimensione altra, non inferiore, ma parallela, fatta di sfumature, di vibrazioni, di verità che sfuggono alla superficie. Ugone non è un puro né un malato: è un personaggio raro nella narrativa odierna, perché disobbedisce tanto alla retorica della marginalità quanto a quella dell’eroe. È corpo che trattiene, spirito che pulsa, brace sotto il ghiaccio. È misura che si fa intensità, e intensità che si fa rivelazione. Al suo fianco si staglia Maddalena, figura sfuggente, evocativa, quasi cristologica nel nome e nel portato simbolico. Maddalena non si lascia mai comprendere del tutto: è un prisma che muta con la luce, una fenditura che non si chiude. È colpa e redenzione, sensualità e silenzio, illusione e resistenza. In lei si incarna il colore non dominabile, quello che sfugge a ogni sistema e proprio per questo rivela la propria verità. Maddalena non è un oggetto del desiderio, non è nemmeno solo alterità: è il punto cieco dello sguardo, il riflesso che interroga chi guarda. Non chiede interpretazione, ma accoglienza. Palermo, terzo personaggio del romanzo, non è mai semplice sfondo: è materia viva, carne urbana e paesaggio morale. Decadente, sensuale, crudele, eppure gravida di vita, la città diventa specchio dei protagonisti e delle loro battaglie interiori. Dai bidoni della spazzatura alle stanze dell’ospedale, dagli interstizi dei quartieri periferici alla soglia del mare, tutto è segno e significato, emblema di una resistenza umana che si esprime nella marginalità e trova nel mare, simbolo liminale e mitico, l’unica possibilità di altrove. Ma è la lingua di Scrima a fare di La disciplina dei colori un oggetto letterario di rara intensità. Una scrittura colta ma mai autoreferenziale, raffinata e necessaria, che si nutre di reticenza e di precisione, di musicalità segreta e sintassi cesellata. La sua prosa è sensoriale in senso pieno: i colori non sono metafore, ma sostanza; gli odori non accompagnano, ma guidano; i suoni non fanno da cornice, ma da tessuto. La parola diventa materia, e la materia si fa vibrazione poetica. In questo universo sinestetico e dolorosamente umano, i colori si rivelano allora per ciò che sono: non categorie ottiche, ma esperienze morali. Ugone tenta di disciplinarli, Maddalena li incarna, ma entrambi comprendono, o tentano di farlo, che il compito non è dominare, ma farsi attraversare. È qui che risiede la tensione profonda del romanzo: nel gesto di arginare il caos senza annientarlo, di convivere con l’informe senza smettere di cercare la forma. In fondo, La disciplina dei colori è questo: un atto etico prima che estetico. Un’opera che invita alla contemplazione più che alla decodifica, alla partecipazione più che alla presa di posizione. Un libro che non cerca l’effetto, ma lo scavo; non l’evento, ma la vibrazione; non il finale, ma il ritmo. E in questa prospettiva, Ugone rimane figura centrale e memorabile: non per la sua “diversità”, ma per la sua irriducibilità a qualsiasi narrazione già scritta. Egli non mente, perché non sa farlo. Non idealizza, perché non può. Ugone è, semplicemente, come solo i personaggi veri sanno essere. E per questo resta. Per questo ci riguarda. Per questo ci costringe a vedere. Con questo romanzo Francesco Scrima ha compiuto un gesto raro: ha scritto non soltanto un’opera “bella”, ma un’opera necessaria.
Un’opera che ha il coraggio della lentezza, della profondità, dell’ombra.
Un’opera in cui la bellezza non si esibisce ma si conquista, si guadagna, si soffre.
Una bellezza, appunto, severa e caleidoscopica.
Marilena La Rosa