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Anna Maria Bonfiglio, Liturgia dei giorni Edizioni Prometheus, Milano

Pubblicato il 29/01/2023 | Categoria: Società e Cultura

Anna Maria Bonfiglio, Liturgia dei giorni Edizioni Prometheus, Milano
Chi, come me, ha avuto il privilegio di conoscere la produzione poetica di Anna Maria Bonfiglio fin dalla prima pubblicazione e non tutta in in sorso ma via via col passare degli anni, col passare del tempo nel continuum suo proprio d’albe e crepuscoli, di morti e rinascite quotidiane, sa, intensamente sa quanto la poesia di Anna Maria sia magnificamente maturata nel suo ininterrotto irraggiarsi d’un Animus fortemente lirico, unitamente alla compostezza d’un sentire duro e forte manifestato in una consolidata e personalissima espressione poetica. La lettura dell’ultimo volume di versi “Liturgia dei giorni”, edito con i tipi di Prometheus, è immersione in un regno intimo che si fa scaturigine di profonde e feconde forze riflessive per una teofania esclusivamente umana, rigorosamente terrigena nel suo essenziale essere correlazione di arte-vita. Da attenzionare l’analitico testo introduttivo di Francesco Solitario, snodato intorno al fulcro del segno scritturale “liturgia”, di cui ci porge le significanze magmatiche e vitali. Nelle tre sezioni in cui è suddiviso il volume, “Spartenze” “A Palermo nessuno” “Oracoli”, è portante il movimento temporale nelle orizzontali articolazioni lineari. Un movimento non certamente indolore: la “spartenza”, ovvero il distacco, cioè non un semplice allontanamento ma una separazione, è visibile in sfaccettature liriche non sottaciute ma sommessamente pronunciate; spartenza che è ed ha la crudità degli istanti che non possono essere annullati o sospesi e che soccombono, ineluttabilmente, in coordinate non più prensili, non più conoscitive e vissute e vivibili. In “Notte dell’ascensione” leggiamo: “Io che non ho più rose a benedire a macerare metterò le spine” (pag. 36). Nella sezione dedicata alla tantoamata città di Palermo, il tempo si mostra in carnalità di spazio. Qui si affaccia e si riconosce l’esigenza di un “momento” superiore, dal sentore non religioso, cultuale, ma laico, intimamente spirituale che abbia il miracolo di un respiro non di separazione ma di coesione: “Sappiamo scansare le tagliole anche con gli occhi in alto verso il cielo” (n. 5, pag. 43). Si presume che in “Oracoli” l’anelito metafisico, le interrogazioni esistenziali trovino indicazioni e risposte. Così non è: il cielo notturno e stellare non propone orientamenti, non è che specchio di un’umanità confusa e dolente; stelle simili alle ombre platoniche danzanti sul muro. “...oracoli ammutiti alle nostre richieste” (pag. 59). E ancora: “…io guardo nello specchio e leggo vene di malinconia” (pag. 61). In questo itinerario di macerazione, di temporalità lacerata ci chiediamo: c’è, può esserci un concreto status salvifico che si riveli forza per una positiva avventura umana terrigena? C’è per Anna Maria Bonfiglio? Le due ultime composizioni del volume sanno e possono essere risposta. In “Liturgia dei giorni” (pag. 75) la Bonfiglio rende visibile l’evocazione alla luce, “...ora che abbisognano più fiaccole a diradare le ombre...”. Tutto può essere soppresso tranne che l’Amore: ne è sufficiente un barlume perché in se stesso, non misurabile, ha la potestà del salto: così è che si fa incendio. E si fa Poesia che è “cura e conforto al male della vita” (pag. 76). Poesia è “divinità taumaturga”, capacità di restituire e far percepire i significati del vivere, le suggestioni necessarie per ricostruire trame di un rinnovato percorso, momento dopo momento, perenne presenza. Utilizzabile. Visibile. Beneaugurante versi di poematiche atmosfere dedicate alla gioia. Ester Monachino