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Avremo sempre bisogno di Danilo Dolci

Pubblicato il 07/03/2025 | Categoria: Società e Cultura

Avremo sempre bisogno di Danilo Dolci
Danilo Dolci (1924 –1997) non fu un siciliano di nascita, ma di adozione. La sua decisione di trasferirsi da Sesana (allora Comune italiano e oggi della Slovenia) in Sicilia, a Trappeto, nel 1952 fu motivata dal desiderio di contribuire attivamente al riscatto delle realtà più emarginate del Sud Italia. «Ogni giorno che passa - scrisse Danilo Dolci - aumenta la sperequazione tra il cittadino del Nord e quello del Sud: e tutti sanno che questa sperequazione significa molto spesso per il cittadino del Sud insufficienza vitale, disperazione. E’ necessario che tutti sappiano in quale soggezione, paura, terrore, vive la gente sotto il dominio di un pugno di mafiosi. Da Bisacquino a Caccamo, da Sciara a Polizzi. E’ necessario che tutti sappiano come si è costretti a vivere, strada per strada, casa per casa al Borgo, a Danisinni, al Capo, al cortile Lo Cicero, alla Guadagna, a Ballarò, sotto i ponti della stra­da vecchia per Santa Rosalia». Giunto in Sicilia, il suo approccio non fu quello di mero cronista, intellettuale o filantropo, ma di un attivista sovversivo “anarchico” che si immerse nella vita della comunità condividendone quotidianamente le asperità e le speranze. Come affermato da Pietro Calamandrei, celebre giurista e padre costituente, la vita di Danilo Dolci può essere considerata l’emblema del “contrasto tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia”, la trasposizione esistenziale del “dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza”.  Parallelismi adoperati dal giurista in occasione della sua celebre arringa, pronunciata il 3 marzo 1956 presso il Tribunale di Palermo, in difesa di Danilo Dolci accusato di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale per aver guidato, a Partinico, uno "sciopero alla rovescia": aveva organizzato un gruppo di braccianti disoccupati per riparare una strada comunale, un'azione simbolica, volta a denunciare l'inerzia delle autorità nella gestione della res publica e nella lotta alla disoccupazione. Le numerose azioni di protesta e mobilitazione popolare contro la mafia, per la costruzione della diga sul fiume Jato, per la difesa dei pescatori di Terrasini (costretti a lavorare in condizioni disumane), per la denunciare delle condizioni di estrema povertà in cui vivano molti siciliani sia nelle grandi città che nei paesini della provincia, erano tutte ispirate al principio della nonviolenza dettato dal filosofo Aldo Capitini. La filosofia di Capitini influenzò profondamente Dolci, in particolare la “teoria della compresenza” secondo la quale non esiste separazione netta tra gli individui, ma una continua interazione e influenza reciproca. Da tale presupposto teorico nasceva la visione di una società basata sulla partecipazione, sull’autodeterminazione, sulla solidarietà, sulla giustizia e sulla nonviolenza. Le concezioni rivoluzionarie e le impattanti azioni di denuncia di Dolci mettevano in crisi e infastidivano parecchie autorità politiche e religiose, i benpensanti, i paladini degli ideali borghesi e aristocratici. Basti ricordare le accuse denigratorie e beffeggianti di Indro Montanelli che, in occasione dello sciopero della fame organizzato da Dolci per denunciare le condizioni di estrema miseria in cui vivevano gli abitanti dei rioni Cortile Cascino e Danisinni di Palermo, lo tacciavano d’essere, vista la sua corpulenza, un digiunatore fasullo o l’inquietante lettera pastorale del cardinale di Palermo Ernesto Ruffini del 1964: “In questi ultimi tempi si direbbe che è stata organizzata una grave congiura per disonorare la Sicilia; e tre sono i fattori che vi hanno contribuito: la mafia, Il Gattopardo, Danilo Dolci”. Esisteva d’altro canto anche una schiera di intellettuali che lo sostenevano come il già citato Calamandrei, i filosofi Bobbio e Sartre, il regista Fellini, Moravia e Carlo Levi. Personaggi per i quali sarebbe inutile e ridondante ricordarne la ricchezza di pensiero e la valenza culturale. Per il suo impegno sociale e civile, Dolci ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso Premio Lenin per la pace assegnatogli dal governo sovietico nel 1957. Danilo Dolci rimarrà sempre un punto di riferimento per chi crede nella possibilità di una società egualitaria ed autodeterminata. La sua lezione di nonviolenza e impegno sociale continuerà a ispirare e a mobilitare quanti credono nell’impossibilità della rassegnazione. Ricordare Danilo Dolci significa, pertanto, ergere la dissidenza a condizione irrinunciabile dell’esistenza del cittadino globale. Vincenzo Tumminello