Giuseppe D’Alesi: il rivoluzionario siciliano dimenticato
Pubblicato il 30/11/2024 |
Categoria: Società e Cultura
“La storiografia - scrive il filosofo francese Michel Onfray - rientra nel campo dell’arte della guerra. Non stupisce, allora, che nei suoi dintorni regni l’atmosfera dei segreti di Stato. La storia è debole con i vincitori e spietata verso i perdenti”.
La storia è, dunque, un’interpretazione del passato modellata secondo gli interessi di chi detiene il potere di ricordare, scrivere e trasmettere le conoscenze. In questo esercizio di dominio culturale molte figure vengono messe in ombra e obliate come nel caso di Giuseppe D'Alesi, il più grande rivoluzionario siciliano.
Nato a Polizzi Generosa nel 1612, D'Alesi, ancor giovinetto, si trasferì a Palermo dove, oltre a lavorare come artigiano, si distinse per la sua intolleranza verso le ingiustizie e per la sua spiccata capacità di parlare alla plebe.
Nel 1647 guidò in città una rivolta popolare generata dalla grave crisi economica e dal malcontento diffuso nei confronti del governo spagnolo che pretendeva di risolvere i problemi sociali ed economici imponendo dure restrizioni alle libertà individuali e pesanti gabelle.
La scintilla scoppiò in seguito all’arresto e alla condanna a morte di alcuni dissidenti. D’Alesi condusse il popolo palermitano, al grido di Morte agli spagnoli, verso il luogo simbolo del potere, il Palazzo Reale, che fu attaccato e conquistato.
Il successo di tale azione di guerriglia pose Giuseppe D’Alesi a capo della città ottenendo la carica di Capitano Generale.
Mostrò subito la sua lungimiranza e abilità di governo organizzando la difesa della città, emanando una serie di ordinanze volte a mantenere l’ordine, redigendo uno Statuto in cui esigeva dal re di Spagna importanti diritti di autonomia per i siciliani.
I nobili collusi con il potere spagnolo, fallito il tentativo di corrompere D’Alesi offrendogli doni e titoli, congegnarono un sottile ed efficace piano di diffamazione accusandolo di aver organizzato la rivolta per consegnare Palermo ai Francesi.
Il popolo, ingenuo, volubile e impulsivo, insorse così contro D’Alesi e gli altri capi della rivoluzione. Molti furono catturati ed uccisi. La fine più tragica spettò proprio a Giuseppe D’Alesi e al fratello Francesco, catturati, ammazzati e trascinati seminudi per le strade di Palermo. Le loro teste mozzate furono per qualche giorno mostrate in trionfo nelle principali piazze della città.
La madre e la sorella dei due rivoluzionari barbaramente uccisi, Mariangela e Lia, affranti dal dolore, lasciarono Palermo per raggiungere Polizzi, il loro paese natio, e poi Gangi.
I palermitani dopo la morte del D’Alesi si resero conto di essere stati manipolati dai baroni della città ma era ormai troppo tardi: il potere del viceré spagnolo fu restaurato e ogni speranza di autonomia e libertà divenne vana.
D’Alesi è una figura affascinante e complessa della storia siciliana il cui operato dovrebbe suscitare vivo interesse e alimentare stimolanti dibattiti. Eppure sembra che nessuno o pochi lo ricordino. Palermo e Polizzi Generosa non hanno certo premiato questo suo figlio. Palermo l’ha divorato, Polizzi l’ha dimenticato.
Vincenzo Tumminello