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L’INFERNO DEI REIETTI. Quando il manicomio è l’ultima ratio

Pubblicato il 15/06/2024 | Categoria: Società e Cultura

L’INFERNO DEI REIETTI. Quando il manicomio è l’ultima ratio
Con il suo Sei giorni in manicomio, uscito da poco per i tipi della Nuova Ipsa Editrice, il giornalista e scrittore Antonio Fiasconaro ha restituito ad un servizio di cronaca regionale la centralità di un’importante questione sociale rimossa dalla coscienza della collettività umana e di quella specialistica. Il libro è la traslitterazione di un reportage che egli redasse agli inizi degli anni ’90 per il quotidiano La Sicilia di Catania. Erano trascorsi più di venti anni dall’approvazione della legge Basaglia che sanciva la chiusura di tutti i frenocomi per sostituirli con aree più vivibili dove i pazienti potessero beneficiare di una doverosa dignità, ma resistevano ancora i luoghi della coercizione fisica e psicologica. Fiasconaro ottiene il permesso di soggiornare per sei giorni e cinque notti all’ospedale psichiatrico Pietro Pisani di Palermo dove intende prendere contatti con qualcuno degli internati al fine di ricavarne qualche intervista. Sei giorni in manicomio è documento e testimonianza diretta di una realtà inimmaginabile, il diario puntuale di un’esperienza drammatica e partecipativa della vita di quella parte di società che non ha collocazione in nessuna categoria umana. Antonio Fiasconaro scende nella fossa dei serpenti per raccontare l’inferno dei reietti, l’abiezione a cui veniva ridotto un essere umano nella contenzione di una realtà abitativa animalesca e alla cura di personale assistenziale inadeguato e infine assuefatto e quasi indifferente. Con il suo linguaggio diretto, accessibile ad ogni lettore più o meno informato sulla questione della salute mentale, riapre il sipario sull’indicibile realtà dei manicomi rivelandone tutta la mostruosità ma senza alterare l’equilibrio dei lettori per l’uso delicato e direi quasi asettico della sua scrittura. Il suo approccio con gli internati è cauto, riguardoso della sensibilità di chi gli sta davanti, la parola che scambia con essi è garbata, è la parola della dignità di cui ha diritto ogni creatura umana. La scrittura dell’autore è pulita, diretta, scende nei recessi della malattia mentale senza giudizi e pregiudizi, l’abiezione dell’essere umano vittima dello squilibrio mentale è filtrata dalla pietas umana, dal distacco, oserei dire chirurgico, della narrazione che per tutto il libro mantiene il rigore della parola. Lo scrittore riporta alcuni dei colloqui che è riuscito ad ottenere con quei pazienti ancora compos sui, magari regalando loro qualche caramella o qualche spicciolo, rivive scene a cui mai avremmo voluto assistere in cui la promiscuità sessuale raggiunge e oltrepassa i limiti dell’immaginazione. Tuttavia, fra la folla degli irrecuperabili, riesce a comunicare con coloro che, nonostante tutto, hanno mantenuto un certo equilibrio e allora il contatto assume un tono confidenziale e il paziente quasi si riappropria della vita retrospettiva. Succede nell’intervista che ottiene con una delle ricoverate, la poetessa Maria Fuxa, che nella casa manicomiale Pietro Pisani ha trascorso la maggior parte della sua vita. Quella con la Fuxa è una lunga chiacchierata, Maria racconta della sua vita e del motivo per cui è finita in manicomio e lo fa  pacatamente ma rivendicando il diritto ad una diversa collocazione ambientale non ritenendosi una malata di mente. È un colloquio tranquillo, e per un breve spazio di tempo si ha perfino l’impressione di una chiacchierata fra amici. In appendice alla narrazione l’autore riporta l’incredibile caso di Angela Caruso, internata in manicomio all’età di diciassette anni, trasferita da un istituto manicomiale all’altro e infine dichiarata deceduta senza che sia stata mai prodotta alcuna documentazione relativa al decesso. Anna Maria Bonfiglio